Regenerar, 2022
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Rigenera
Si può davvero dire, di fronte a questa installazione che l’artista sia interessato esattamente a ciò che “non c’è”, ovvero allo spazio immateriale che noi riusciremmo a rilevare con l’occhio “tra” gli elementi dell’installazione se non fosse per ciò che di più immateriale esiste, ovvero, la luce.
Sette lampade poste a poca distanza dal pavimento non sono “la rappresentazione” perché non sono intenzionalmente evidenti: ciò che è evidente è la luce, che però non intende minimamente evidenziare una qualche qualità del pavimento, ma soltanto stabilire il limite tra la lampada e il suolo. Ogni spazio quindi, ogni luogo possibile del reale “nasce” si rende percepibile, perché è la luce che lo rivela e lo modella. Ciò che noi vediamo e percepiamo è frutto, paradossalmente dell’immateriale: sono le onde elettromagnetiche nel vuoto che creano lo spazio, ma non solo: l’oggetto colpito dal raggio restituisce a suo modo altra luce. Lo spazio (ovvero il potenziale luogo fisico) nasce dal dialogo (nel nostro caso) stretto e serrato tra la fonte della luce e il suo riflesso. Anche se il corpo che viene colpito non è in sé riflettente, è la vicinanza con l’intensità della luce a rivelarlo e paradossalmente, renderlo anch’esso “immateriale” come la luce stessa: più le cose, qualsiasi esse siano, si avvicinano alla luce, più esse acquistano la sua “qualità”.
L’oggetto che interessa è dunque quello spazio immateriale dove la luce fa la sua strada, dove essa diventa percepibile e quasi “fisica” generandosi nel riflesso, come una piccola “colonna” che rende visibile il dialogo tra due limiti, l’origine della luce e il suo ostacolo.
La musica ribadisce in modo profondamente poetico l’interesse per quel luogo immateriale dove ciò che non è tangibile, diventa invece, epifania e rivelazione di un luogo impossibile eppure esistente.
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Se puede, realmente, decirse delante de esta instalación que el artista está interesado precisamente en lo que «no está», es decir, en el espacio inmaterial que podemos detectar con los ojos «entre» los elementos de la instalación, si no fuera por la existencia de algo más inmaterial, es decir, la luz.
Siete lámparas colocadas a poca distancia del suelo no son «la representación» porque no son intencionadamente evidentes: lo que es evidente es la luz, que, sin embargo, no pretende resaltar ninguna cualidad del suelo, sino sólo establecer el límite entre la lámpara y el suelo. Por tanto, todo espacio, todo lugar posible de la realidad “nace», se hace perceptible, porque es la luz la que lo revela y lo modela. Lo que vemos y percibimos es el resultado, paradójicamente, de lo inmaterial: son las ondas electromagnéticas en el vacío las que crean el espacio, pero no sólo: el objeto golpeado por el rayo devuelve, a su manera, otra luz. El espacio (es decir, el lugar físico potencial) surge del diálogo (en nuestro caso) estrecho y apretado entre la fuente de luz y su reflejo. Aunque el cuerpo golpeado no sea en sí mismo reflectante, es su proximidad a la intensidad de la luz lo que lo revela y, paradójicamente, también lo hace «inmaterial» como la propia luz: cuanto más se acercan las cosas, sean lo que sean, a la luz, más adquieren su «cualidad».
El objeto de interés es por tanto ese espacio inmaterial donde la luz se abre paso, donde se hace perceptible y casi «física» generando con el reflejo una pequeña «columna» que hace visible el diálogo entre dos límites, el origen de la luz y su obstáculo.
La música reafirma de forma profundamente poética el interés por ese lugar inmaterial donde lo que no es tangible se convierte en cambio, en epifanía y revelación de un lugar que es imposible y sin embargo existe.