Marta Michelacci

2022

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Quel che la luce nasconde

(Lo que la luz encubre)

Chiamare in causa la luce significa entrare in ambito cosmologico. L’estetica della luce è al centro del pensiero medievale, la prima forma dei corpi, la struttura ontologica essenziale di ogni essere animato.

La luce è la ragione fondamentale dei mutamenti dell’universo e la metafisica della luce è un vero e proprio ambito di ricerca del quale si sono occupati Platone, Aristotele, Plotino, lo pseudo-Dionigi. Per Plotino “l’Uno” è paragonabile alla luce e il sole ne è un’immagine. È impossibile comprendere “l’Uno” se non per via apofatica, negativa, ovvero dicendo ciò che non è. Nel mondo arabo sono stati soprattutto i trattati di ottica, quelli sulle perpective, ad occuparsene così come i commentari ad Aristotele di Averroè e Avicenna. Tutta la storia della fotografia, e l’invenzione di strumenti come la camera ottica, hanno indagato come catturare e fermare la luce su un supporto durabile nel tempo. La raccolta di opere fotografiche di Ignacio Llamas evidenziando “Quel che la luce nasconde” non fa altro che richiamare una sorta di paradosso: solo nel buio si può realmente vedere. Questa visione del mondo spalanca una dimensione che richiede un salto di qualità. L’artista è nato a Toledo, la città dove El Greco, pittore di forte personalità, trovò il luogo ideale in cui vivere e lavorare. “La Sepoltura del conte di Orgaz” del 1586 (Santo Tomè, Toledo) o anche la “Spoliazione di Cristo” della cattedrale di Toledo ci rivelano il percorso artistico di questo pittore, di origine cretese, che prima di arrivare nella città della Castilla La Mancha ha vissuto a Venezia e poi a Roma. Sono evidenti i richiami al Manierismo italiano, a Tintoretto, Michelangelo, ma soprattutto alla pittura tonale di Tiziano. Anche El Greco, come pittore di icone, non poteva prescindere dal dialogo costante con la luce. El Greco è un presupposto importante per l’esperienza artistica di Llamas, artista visivo, che ha maturato nel tempo una propria specifica cifra stilistica in cui far confluire tutte le esperienze personali.

Le ragioni del suo fare artistico vanno ricercate nella cultura della sua terra, nella storia di una città, Toledo, di matrice mozarabica, in cui accanto ai monumenti medievali musulmani si affiancano quelli ebraici e cristiani. A Toledo ha vissuto anche san Juan de la Cruz, il “dottore mistico”, riformatore con Teresa d’Avila della famiglia religiosa carmelitana. Proprio durante la prigionia toledana, in un carcere oscuro, vicino al fiume Tago, Giovanni fece l’esperienza della “notte dei sensi e dello spirito” che lo portarono a comporre alcuni testi mistici che sono fonte di suggestione, non solo per il cammino spirituale religioso ma anche per molti

artisti contemporanei. Quella che san Giovanni della Croce sperimentò viene definita “Via Negativa”, il luogo della dissoluzione del sé che coincide con il ritrovarsi solo perdendosi, ovvero una dimensione in cui l’Oriente e l’Occidente si incontrano: «Ciò che avete è ciò che non avete / e dove siete è là dove non siete»1.

Questa esperienza in san Giovanni della Croce coincide con la scomparsa del sé tra le braccia del Padre, «Vivo ma non vivo in me / e sì grandemente spero / che muoio perché non muoio.»2.

Artisti come Bill Viola, che non si identificano con un credo religioso, hanno visto nell’esperienza mistica l’essenza della creatività e dell’ispirazione. Percorrere la “Via Negativa” significa per lui fondare le basi di un lavoro che consiste nella inconoscibilità, nel dubbio, nel sentirsi perduti, nel non sapersi dare delle risposte e in un principio di casualità talvolta incontrollabile. La possibilità di ritrovarsi solo perdendosi ha portato Bill Viola ad affermare:

«I principi fondamentali della Via Negativa poggiano sull’inconoscibilità di Dio: Dio è totalmente altro, indipendente, completo; Dio non si può cogliere con l’intelletto umano, non si può descrivere in alcun modo; quando la mente si trova di fronte alla realtà divina, si svuota, si arresta, entra in una nube di non conoscenza. Quando gli occhi non vedono, l’unica cosa che funziona è la fede e l’unico modo vero per avvicinarsi a Dio è l’interiorità. Da tale punto di partenza, la sola strada per raggiungere Dio è attraverso l’amore […]»3.

Dalla condizione esistenziale vissuta da san Giovanni della Croce nel periodo di prigionia a Toledo deriva  l’idea di “abitare il limite” che in molte opere di Ignacio Llamas viene traslata nella creazione di paesaggi lunari, minimali, talvolta visibili solo attraverso piccole fessure. Le ragioni di questi spazi desertici possono essere ricondotte ad una esperienza di spogliamento interiore. Nel passaggio dalla “Notte dei sensi” alla “Notte dello spirito” la stessa esistenza di Dio viene messa in dubbio.

Anche in questo senso trova giustificazione nella sua opera un elemento ricorrente: gli alberi secchi, ovvero la presenza della natura che riflette la stessa desolante condizione umana.

Queste forti suggestioni esistenziali hanno portato l’artista a vivere un’esperienza estetica molto forte. Trovandosi a Corniolo, in occasione di un convegno estivo di giovani artisti di diverse discipline, il “Varco”, ha potuto scoprire un lago generato da una frana del monte soprastante. Quel luogo gli è apparso come una perfetta descrizione di quella condizione di precarietà umana oggetto del suo interesse. Il lago è diventato una sorta di metafora: il buio del disastro ambientale capace di generare nuova vita.

Il concetto, l’idea forza, coincide con l’accettare il mistero e l’ignoto come processo conoscitivo ovvero far diventare ogni difficoltà, ogni limite dettato dalle proprie paure, ma anche ogni ostacolo, una sorta di pedana di lancio. La capacità di resilienza e il superamento delle difficoltà sono la condizione preferenziale per la creatività artistica.

Ignacio Llamas ha fotografato il lago in tutte le condizioni di luce, all’alba, al tramonto, e nelle ore centrali del giorno quasi come se al cambiare della luce si potessero rivelare cose nuove. Biologicamente la morte progressiva del bosco di douglasie annegate nel lago ha offerto nuove possibilità di vita a nuove specie di uccelli limivori e acquatici e altre specie vegetali, come pioppi e ontani, hanno infoltito la costa. Un messaggio fortemente metaforico che l’artista ha colto immediatamente perché corrisponde esattamente al suo sentire.

La mostra negli spazi del Museo Civico Mambrini di Pianetto (Galeata) permette quindi di rivivere l’incanto di questa esperienza estetica e invita, implicitamente, l’osservatore a ripeterla.

Il dialogo tra le opere esposte e i reperti archeologici, che sono la narrazione di una storia secolare di sopravvivenza culturale, si fa quindi intensa. È la natura del luogo, del suo perenne farsi, dei suoi ciclici cambiamenti che diventano motivo di riflessione ma anche di incoraggiamento nell’affrontare il presente. Anche la morte è capace di generare nuova vita, anche quel che non riusciamo a comprendere nel presente può diventare occasione impensata. Sia nel Museo Civico Mambrini che a Corniolo lo spazio espositivo coincide con le fondamenta delle strutture abitative: di nuovo quindi emerge un tratto specifico dell’artista ovvero il ricercare le radici delle cose, spazi parlanti, consoni al suo messaggio.

1 – C. Townsend, Sarò all’antica ma…, in L’arte di Bill Viola, Milano 2005 (titolo originale The Art of Bill Viola, Londra 2004). Questa citazione di Townsend 2005, è tratta da East Coker di Thomas Stern Eliot trad. it. Quattro quartetti. East Coker, Milano 1989, p. 31. Townsend usa questo esempio per spiegare la Via Negativa di Bill Viola.

2 – San Giovanni Della Croce, Opere, a cura di P.P. Ottonello, Torino 1993, p. 64. Il versetto è tratto da: Fiamma d’amor viva. Canzoni dell’anima nell’intima comunicazione di unione d’amor di Dio.

3 – Sono parole di Bill Viola nell’intervista con Jörg Zutter in Townsend 2005, p. 131.